Per festeggiare il compleanno pensavamo non ci fosse location più suggestiva, in una serata di inizio autunno, del ristorante di Lino Scarallo chef di Palazzo Petrucci.
Tavolo in terrazza con vista golfo di Napoli, Vesuvio a sinistra, Capri di fronte e Posillipo a destra con Palazzo Donn’Anna in primo piano.
Il benvenuto ha luogo al primo piano per una piccola entré offerta dallo Chef composta da tre finger food mare-terra.
Essenziale la presentazione, tovagliolini sparsi sul tavolino senza supporto, niente fronzoli ma ceramiche di gran gusto, che sarebbero passate inosservate se non fossimo amanti delle cose belle e non conoscessimo la eleit.it nella collezione Riti per oggetti da degustazione dai nomi eccentrici, scarpetta-soffio-con-dita.
Immagino che la location eccezionale conceda qualche distrazione assolutamente perdonabile, perché il fantastico panorama fa grandi sconti, anche se bisognerebbe rivedere le luci, perché un sistema di illuminazione che riflette sulle vetrate l’interno del bar, non lascia vedere fuori nonostante la luna.
Dalla carta dei vini ancora tutta da capire (… vini ordinari a prezzi ingiustificabili, qualche etichetta francese conveniente e tante altre contraddizioni) scegliamo una bollicina Franciacorta Brut Docg Monte Rossa che ci seguirà anche a tavola, a tutto pasto.
La prima nota dolente appena accompagnate al ristorante suona per la mancanza (almeno) di un runner sul tavolo di legno pregiato sì, ma nemmeno tanto lindo.
La tovaglia in un contesto stellato, connota il gusto della mise en place che fa punteggio sulla gradevolezza ed accoglienza del luogo, invece il nudo legno, fa freddezza e non riesce ad attrarre l’attenzione nemmeno sulle posate e sui bicchieri che passeranno inosservati e non lasceranno memoria di quell’eleganza che ci si aspetta da una Location di questo calibro
Con un clima non decisamente estivo, in questa circostanza anche un pò freschetto, si rende necessario proteggere la temperatura interna, ma la plastica che scende sulle vetrate che dovrebbero esaltare la vista spettacolare, che da questo ristorante si gode di giorno e nelle calde serate estive, è la seconda nota che rischia di appannare il ricordo che avevamo di questo posto, quando in una bellissima serata estiva , mangiammo con un pied dans l’eau.
Ma veniamo al menu, questo sconosciuto!
Non ci è mai accaduto che in uno stellato le degustazioni fossero esclusive, enigmatiche e senza un menu alla carta!
Obbligate a scegliere tra due degustazioni da 5 portate, 5+crudo o 7, optiamo per quella 5+crudo, che si realizza praticamente, come in tutte e tre le possibili scelte, in un “Lino fai tu!”
Completamente all’oscuro di quello che mangeremo, senza conoscere nemmeno il nome dei piatti, apriamo le danze con una zuppetta di patate e pesce, non male, ma senza nessunissima emozione.
Si procede con il crudo: ostrica, gambero, scampo e dei filettini di tonno, orata, salmone e astice, con un’ombra di mozzarella.
Pesce fresco di qualità, presentato senza lode né infamia, che siamo certe non lascerà ricordo, perché non basta poggiare il prodotto anche se di ottima qualità, in un piatto bianco!
Impiattare come suggerisce la Treccani, significa ‘allestire preliminarmente in cucina, con gusto e intenti coreografici e decorativi, il preparato gastronomico dentro ciascuno dei piatti.. e se si tratta di uno stellato (aggiungiamo noi) poi “raccontarlo ” o farlo raccontare ai commensali.
A questo punto giunge un risotto alla maionese d’ostrica, di più non possiamo aggiungere e quindi ve lo facciamo vedere.
Per essere buono è molto buono, ma avremmo voluto capire e non indovinare come era preparato!
Si continua con il secondo che racconta di un dentice adagiato su una bruschetta scomposta e cioè una salsa leggera di pomodoro, erbe, cipolla e briciole di pane. Fresco, profumato, molto mediterraneo. Il pesce è di qualità eccellente e la sua preparazione merita un plauso seppur nella sua semplicità.
Un choupa choups annuncia il tempo del dessert, si tratta di un bombolone di passion fruit liquido, racchiuso in una copertura di cioccolato sottilissima. Predisposti alla sorpresa, godiamo di un’esplosione di sapore, che però lascia la bocca piacevolmente pulita, e pronta ad accogliere il vero e proprio dessert anche questo da farvi vedere senza potervelo raccontare.
In memoria di una magnifica serata al Petrucci di San domenico Maggiore, diversi anni fa, dove per la prima volta sentimmo la parola “scomposta” ed era riferita alla pastiera di Lino, e di un’altra, sempre a Posillipo, quando con un panorama mozzafiato sotto una luna piena, mangiammo da un menu alla carta, le prelibatezze ed il must della cucina Scaralliana, questa serata non è stata all’altezza delle aspettative.
Abbiamo intravisto un Lino stanco, quasi distratto, senza passione, senza quella vivacità che giustifica un ristorante pieno in un giovedì ordinario.
I numeri contano e la dice lunga la scelta dei tre menu degustazione blindati, ciò non può soddisfare però chi come noi da un ristorante di questo livello, si aspetta una scelta autonoma, seppur contingentata ad un numero limitato di alternative.
La scelta della mise en place senza tovaglia, ci trova non accoglienti, soprattutto se il palissandro del tavolino non è tirato a lucido.
Un po’ di calore in sala ed un pò più di conoscenza dei piatti per descriverli, da parte degli addetti in sala, non guasterebbe, soprattutto non essendoci un menu a supporto che parli da solo delle portate Trattandosi di una cucina stellata dove il piatto canta, non abbiamo sentito la musica di Lino.
Non guasterebbe una revisione degli infissi di protezione per lasciar scoprire agli occhi, il tesoro che c’è fuori da ogni finestra.
A’ bientot,
La forchetta innamorata.
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